Il paradosso della democrazia? Farsela spiegare da Davide Casaleggio sul Corriere

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-09-17

Oggi sul Corriere della Sera un tizio che ha ereditato dal padre un partito e l’idea di “un sistema operativo” ci spiega le magnifiche sorti e progressive della democrazia digitale. Proprio lui che, come il padre, non è mai stato votato da nessuna parte

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La prima cosa che viene in mente è ma davvero ragiona così? Ma davvero l’uomo che regge le sorti di uno dei principali partiti italiani è uno che per dare forza alle sue opinioni cita aforismi del padre da cui ha letteralmente ereditato il partito mentre pretende di spiegarci che cosa sia la democrazia? La risposta è sì, Davide Casaleggio oggi ha voluto togliere ogni dubbio sulle sue doti dialettiche con una lettera a tutta pagina pubblicata dal Corriere della Sera. Una lettera, come da tradizione, senza contraddittorio. Perché questa è la democrazia no?

Dalla prima lettera di Davide Casaleggio al Corriere della Sera

Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto e fondatore di Rousseau, oggi ci spiega che siamo «nell’era della cittadinanza digitale». Non si sa bene chi abbia deciso che le cose stanno così e nemmeno in cosa consista questa “cittadinanza digitale” o quali siano le differenze con la cittadinanza “analogica” cui siamo abituati. Viene dato per scontato. Probabilmente è una di quelle buzzword che servono per vendere l’innovativo prodotto del momento. E in questa fase politica quel prodotto è il sistema operativo del MoVimento 5 Stelle. E già qui ci sarebbe da ridire perché Rousseau non è un sistema operativo ma un portale, un sito, nemmeno troppo moderno come costruzione o design. Ma a quanto pare non si può vendere la democrazia diretta senza un sistema operativo.

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Fonte: il Corriere della Sera del 17/09/2019

E usiamo il termine “vendere” non a sproposito visto che i parlamentari del M5S finanziano con donazioni  di 300 euro al mese il mantenimento della piattaforma tecnologica del M5S che è affidata all’Associazione Rousseau. Che a sua volta gestisce il sito dove deputati e senatori del MoVimento 5 Stelle sono stati candidati e votati dagli attivisti (e che quindi ne legittima la presenza in lista e in Parlamento).

La strana idea di democrazia di Davide Casaleggio

Il fisico Richard Feynman scrisse un libro dal titolo Sei pezzi facili, il compositore Nino Rota Sette pezzi difficili per bambini. Davide Casaleggio invece molto più modestamente in una paginetta elenca i sette paradossi della democrazia. Il primo è una difesa della democrazia diretta perché secondo Casaleggio «il rappresentato dovrebbe decidere sempre, salvo quando lo può fare solo il suo rappresentante». Negli intenti del fondatore di Rousseau (curiosamente la sua non è una posizione contendibile democraticamente tramite un voto su Rousseau) questo serve a dimostrare che è un bene far decidere ai rappresentati e non ai rappresentanti. E non solo non si capisce a cosa servano a quel punto i rappresentanti ma addirittura Casaleggio stesso non si accorge che la nostra Costituzione prevede che il Popolo (i rappresentati) eserciti la propria sovranità «nelle forme e nei limiti della Costituzione». Quindi ci sono “situazioni” in cui la Costituzione prevede che solo i rappresentanti possano decidere, perché a loro è stato delegato – tramite libere elezioni a suffragio universale – il potere decisionale. Al netto che un partito può organizzarsi internamente come preferisce vale la pena ricordare qui che certe decisioni spettano al Parlamento, che non è un organo che ha il compito di ratificare le decisioni prese altrove in maniera poco chiara ed opaca.

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Seguono altri “paradossi” messi lì solo per giustificare la tesi principale, quella secondo cui la democrazia diretta è la naturale evoluzione “tecnologica” delle forme di democrazia “antiche”. Ad esempio con il paradosso del luddista con lo smartphone Casaleggio intende convincerci che ora che siamo nel 2019 dobbiamo smettere di avere paura del futuro come se fossimo uomini del 1500 o del 1800. Perché se la tecnologia ci consente di abbracciare la democrazia diretta dovremmo gettare il cuore oltre l’ostacolo. Il figlio del fondatore del M5S evita accuratamente due problemi. Il primo: né la sua carica né quella del padre furono mai sottoposte al giudizio dell’assemblea degli iscritti (anzi all’epoca Grillo e Casaleggio padre crearono una seconda associazione con potere di vita e di morte sul M5S).  Il secondo: se la democrazia diretta “digitale” si traduce nel voto su Rousseau, ovvero sul sito di un’associazione privata le cui consultazioni sono garantite da un notaio che incidentalmente è amico suo e che dichiara “di fidarsi” forse il problema non è la paura del futuro ma la consapevolezza del funzionamento del presente.

Perché Casaleggio non affronta i temi della sicurezza della sua piattaforma proprietaria?

Con il paradosso del delegante a sua insaputa il fondatore di Rousseau attacca le strutture dei vecchi partiti che «di norma hanno un numero di iscritti pari a circa un centesimo del loro elettorato» (il MoVimento 5 Stelle ha circa 100mila iscritti, su Rousseau, e 11 milioni di elettori) e dove non esistono meccanismi con cui gli iscritti delegano la decisione ad altri organi del partito. Il che è falso ovviamente perché quasi tutti i partiti hanno assemblee di iscritti che a partire dai circoli territoriali eleggono delegati che a loro volta eleggono i dirigenti. Con il paradosso del decisore muto Casaleggio affronta coraggiosamente il tema della “competenza” del votante su una certa maniera. La risolve semplicemente: se chi decide non sa su cosa sta votando è colpa dei giornali che non lo hanno informato abbastanza.

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Noterete qui che Casaleggio è sempre quel tizio che per salvare Salvini dal processo propose un quesito quasi incomprensibile agli attivisti. Ed è lo stesso di quel partito dove si dice che i giornalisti sono puttane o pennivendoli. «Chi pensa che solo gli esperti del tema possano scegliere, confonde la conoscenza con la scelta» scrive Casaleggio nel paradosso successivo (che in realtà è la continuazione del precedente ma evidentemente bisogna avere almeno sette bullet point). Ma a parte il fatto che bisogna conoscere per deliberare il punto è che spesso e volentieri il M5S (ma per carità, anche gli altri partiti) hanno raccontato enormi balle ai loro elettori per convincerli di una cosa. E poi magari commissionano ad un panel di esperti un’analisi costi benefici. Perché non farla fare ai cittadini? Perché non far decidere come costruire un viadotto autostradale ad uno che sogna di fare un ponte da vivere con cinema e spazi commerciali? Siamo al paradosso del paradosso. Dopo l’attacco ai professoroni e ai giornali c’è quello ai vecchi politici che non ascoltano i cittadini.

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Ma non è vero, perché gli iscritti, la base, sono cittadini anche se non sono “digitali”. E ogni partito ascolta bene il suo elettorato prima di muoversi. Certo non lo fa con un voto “sì o no” indetto in ventiquattrore senza alcun dibattito pubblico anzi dove tutti i parlamentari si spendono a favore del risultato che la dirigenza ha deciso dovrà venire fuori. Perché il paradosso di questo grandissimo movimento di democratici digitali è che gli attivisti sono chiamati a votare sì o no, l’assemblea viene convocata per votare su una piattaforma poco sicura senza che a livello territoriale ci sia spazio per discutere i pro e i contro. E poi può sempre succedere che arriva Grillo che invalida una votazione locale e ne indice una a livello nazionale per garantirsi abbastanza voti da sovvertire il risultato. Ora badate bene tutte le cose scritte qui non sono segrete, sono di dominio pubblico. Ed è un peccato che il Corriere della Sera, che è il principale quotidiano del Paese, abbia perso un’occasione per intervistare Davide Casaleggio e fargli delle domande. Ma nella democrazia digitale le cose vanno così, l’utente si interfaccia con un tizio che ama i monologhi e sfugge il confronto. Era già successo a Otto e Mezzo, succederà ancora, è la democrazia diretta, bellezza.

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