Gianluca Iannone, Carlotta Chiaraluce, Andrea Bonazza, Maurizio Puglisi Ghizzi, Mario Eufemi, Giorgio Ferret, questi alcuni dei nomi di dirigenti, consiglieri comunali e militanti di CasaPound che in queste ore si sono improvvisamente trovati “bannati” da Facebook con gli account personali disabilitati. A dirlo sono gli attivisti del partito dei fascisti del terzo millennio che in queste ore denunciano l’emergenza democratica. Avete letto bene, i militanti di un partito che secondo la nostra Costituzione non dovrebbe nemmeno esistere e che si ispira a quel partito che aveva instaurato la dittatura in Italia si lamentano della mancanza di democrazia da parte di un social network di proprietà di un’azienda privata (e addirittura imperialista).
Oggi quelli di CasaPound si appellano all’articolo 21 di quella Costituzione nata dopo la sconfitta del Fascismo e dopo la lotta di liberazione (e sì, dopo quel 25 aprile che molti di loro considerano una ricorrenza troppo divisiva). La ragione alla base della decisione dell’antidemocratico Facebook pare essere quella comunicata da Emmanuela Florino, già candidata alla Camera per CasaPound, che ha pubblicato una schermata di Facebook dove vengono elencati i motivi che comportano la sospensione di un account. Cosucce da nulla come diffondere discorsi inneggianti all’odio o di discriminazione verso le persone per la loro razza, etnia, nazionalità di origine, religione, sesso, orientamento sessuale. Vai te a spiegare a Facebook che c’è del razzismo nei confronti degli italiani. Secondo la Florino CasaPound è discriminata perché ha delle idee che non piacciono. Il problema per Facebook è che quelle idee discriminano particolari etnie e categorie di persone. E per queste idee su Facebook non c’è spazio.
Altrove c’è chi parla di un attacco mirato, insomma un complotto da parte di segnalatori occulti (al servizio dei Poteri Forti Sorosiani?) che avrebbero preso di mira gli account degli attivisti di CasaPound. Qualcuno ha già trovato la soluzione: farsi un secondo (o un terzo) profilo di scorta per superare indenne ban e segnalazioni. Ma i più temerari pensano addirittura ad una class action contro il social di Zuckerberg.
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