Idrogeno verde: ultimo treno per l’Italia?

di Vincenzo Vespri

Pubblicato il 2020-10-06

Gianni Girotto, presidente della X Commissione Industria del Senato, ha organizzato un incontro dal titolo “Una strategia industriale per l’idrogeno verde” in cui sono stato invitato anche io. Girotto mi ha molto ben impressionato: mi è sembrato seriamente interessato a fare una scelta meditata e giusta. Probabilmente saranno utilizzati i soldi dei Recovery Funds e …

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Gianni Girotto, presidente della X Commissione Industria del Senato, ha organizzato un incontro dal titolo “Una strategia industriale per l’idrogeno verde” in cui sono stato invitato anche io. Girotto mi ha molto ben impressionato: mi è sembrato seriamente interessato a fare una scelta meditata e giusta. Probabilmente saranno utilizzati i soldi dei Recovery Funds e non possiamo permetterci di sbagliare. Questa impressione positiva ha coinvolto anche la sottosegretaria Alessandra Todde. Molto alla mano e molto disponibile anche verso un “comune” cittadino.
All’inizio mi son chiesto quale fosse il mio ruolo da matematico in un convegno di questo genere. Man mano che il convegno procedeva ho capito quale poteva essere il mio contributo. Attualmente la maggior parte dell’idrogeno viene estratto dal gas naturale, attraverso un processo che produce emissioni di carbonio, ma esiste la possibilità di produrre una versione “verde” del combustibile attraverso l’elettrolisi. Jeremy Rifkin, nel suo saggio del 2002, “Economia all’idrogeno” ha proposto di utilizzare l’idrogeno per creare una grande rete di interconnessione mondiale dove tutti gli utenti sono produttori e utilizzatori di energia pulita, fornitori di energia per gli altri e produttori allo stesso momento per sé stessi. Si può parlare di idrogeno verde solo quando la sua produzione avviene con elettrolizzatori alimentati con elettricità di origine rinnovabile (eolica, solare) altrimenti si parla di idrogeno blu. Ma per produrre occorre investire tanto in energia pulita. I Paesi del Mare Nord, stanno investendo in parchi eolici off shore (in mezzo al mare). Ma loro sono favoriti dal fatto che il Mare del Nord ha fondali bassi, per cui si può ancorare le piattaforme sul fondale marino, mentre noi dovremmo costruire piattaforme off shore galleggianti. Sono in fase di sperimentazione, ma quali saranno i costi effettivi? E sono proprio i costi quelli ad aver frenato la produzione d’idrogeno. Però sentendo i vari partecipanti (e facendo ricerche sull’argomento), non credo che il vero problema sia la produzione dell’idrogeno. L’Europa ha intenzione d’investirci molto. Ha obiettivi, ambiziosi ma raggiungibili, di ridurre fortemente i costi di produzione entro il 2050. La sola Germania ha intenzione d’investirci ben 9 miliardi di Euro. Inoltre la nostra produzione è tarata sui picchi e quindi l’energia in eccesso potrebbe essere convertita in produzione dell’idrogeno. I veri problemi sono il trasporto e la sua utilizzazione.

idrogeno verde

Contrariamente a quanto si crede a temperatura ambiente l’idrogeno produce poca energia per unità di volume.  Il rendimento della benzina è 1000 volte circa quello dell’idrogeno, a parità di pressione e a temperatura ambiente. Se quindi volessimo avere la stessa autonomia utilizzando l’idrogeno gassoso non compresso, ci servirebbe un serbatoio grande 1000 volte quello che contesse invece benzina. Per far stare più idrogeno in un recipiente più piccolo, le due strade possibili quindi quelli di comprimerlo o di raffreddarlo. Se si abbassa la temperatura a -253 gradi centigradi, l’idrogeno diventa liquido l’idrogeno. In questo stato non ci sono più problemi di pressione, e la densità di energia per volume si avvicina a quella della benzina. Ma per la liquefazione dell’idrogeno non è stato ancora trovato un sistema efficiente. Si assiste alla sua evaporazione e tutte i veicoli ad idrogeno che si basano su questa tecnologia di stoccaggio sono o prototipi o soluzioni di nicchia. Vediamo invece come si usa l’idrogeno gassoso nel la tecnologia delle vetture a fuel cell che fu impiegata per la prima volta nel 1962 dalla Nasa. In esso l’idrogeno, stoccato allo stato gassoso, viene fatto reagire nelle celle con l’ossigeno. Una batteria copre i picchi di richiesta di potenza, per ovviare al ritardo con cui la fuel cell genera corrente. inoltre, l’accumulatore consente di sfruttare la frenata rigenerativa, migliorando il rendimento complessivo della vettura. Gli unici prodotti di scarto della cella a combustibile sono calore e vapore acqueo. Inoltre le vetture a fuel cell hanno infatti un’autonomia sensibilmente superiore (attorno ai 600 km) e si “ricaricano” molto più rapidamente. Il pieno di idrogeno, infatti, richiede meno di cinque minuti. Il problema è che la rete di distribuzione dell’idrogeno è tutta da costruire: in Italia c’è un distributore solo a Bolzano e le normative sull’utilizzo dell’idrogeno nei trasporti è tutta da scrivere. Occorre quindi investire in infrastrutture…ma come? assumendo che il futuro della trazione sarà elettrica e rappresenterà (a parte l’industria) il maggior capitolo energetico assumendo che le batterie saranno il futuro dei prossimi 100anni o comunque una qualche reazione chimica reversibile, il problema sarà rappresentato dalle infrastrutture. Per ricaricare tutte le batterie, la nostra rete elettrica che adesso, a malapena, supporta la potenza elettrica per uso abitativo dovrà essere ridisegnata. Se ognuno di noi attaccasse la macchina la sera, il consumo di energia da 1,5KW diventerebbe minimo 11KW. E ogni macchina, per essere ricaricata, avrebbe bisogno non meno di 11KW per 4-5 ore. Ora, per fortuna l’energia richiesta per la ricarica sarebbe la sera quando c’è un esubero. Ma comunque questa energia dovrebbe essere portata in tutte le case e materialmente i cavi che esistono non sono sufficienti. Quindi l’infrastruttura delle dorsali elettriche e delle diramazioni locali dovrà essere potenziata. Inoltre un sistema di controllo governativo delle ricariche potrebbe bilanciare in automatico tutta la rete perché milioni di batterie collegate in rete saranno il più grande serbatoio energetico della storia ed essendo reversibile un sistema centralizzato potrebbe bilanciare l’intera rete nazionale. Ma tutto è da fare: la rete, la bi-direzionalità, etc etc.

Ma allora siamo di fronte a un problema di ottimizzazione vincolata. Abbiamo un po’ di soldi da spendere nei prossimi anni (i Recovery funds), abbiamo una tecnologia che potrebbe rappresentare il futuro ma che presenta ancora difficoltà serie, abbiamo aziende leader interessate, abbiamo competenze universitarie e di ricerca di eccellenza ed abbiamo paesi confinanti che hanno puntato molti soldi (molti di più di quelli che potremmo investire noi) su questo vettore. Quale la strategia (matematicamente) migliore? Sicuramente investire in infrastrutture dual use nel senso che, qualora l’idrogeno non rappresentasse il vettore energetico del futuro, queste infrastrutture possano servire al Paese. Investirei poi in ricerca avanzata su alcuni progetti pilota. Farei una tavola rotonda con gli stakeholders italiani per individuare tematiche di ricerca che ragionevolmente avessero forti ricadute sul territorio. Farei un’analisi costi-benefici e valuterei matematicamente i rischi d’impresa. Fatto questo agirei. Nessuno potrebbe assicurarci che la scelta fatta sarà quella giusta, ma siamo convinti che non scegliere e non agire sarebbe sicuramente la scelta peggiore.

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