Fact checking
Tutte le balle di Matteo Salvini sul salvataggio di Open Arms
Giovanni Drogo 19/07/2018
Da due giorni il ministro dell’Interno annuncia di avere le prove che smentiscono la ricostruzione della Ong. Ma nemmeno la televisione tedesca, chiamata in causa ieri, può smentire Open Arms perché ha partecipato ad una diversa operazione di salvataggio. E il premier Conte lascia il Viminale con il cerino in mano dicendo che il governo non è in possesso di “informazioni risolutive”
«Bugie e insulti di qualche Ong straniera confermano che siamo nel giusto». Non aveva perso tempo il ministro dell’Interno (e papà) Matteo Salvini alla notizia del ritrovamento in acque internazionali dei cadaveri di un bambino e di una donna e del salvataggio di Josefa, una 48enne camerunense. Secondo il Viminale si trattava di fake news e Salvini ha promesso subito che avrebbe mostrato le prove. Sono passati due giorni e il Ministero quelle prove non le ha ancora fornite. In compenso ieri sera Salvini è tornato sulla vicenda annunciando che «una ricostruzione dei fatti andrà in onda sulla televisione tedesca. Non c’era nessuno in mare com’era prevedibile».
Quali sono le fake news e le bugie di Open Arms?
Il ministro dell’Interno quindi, non solo non ha fornito alcuna prova che la ricostruzione fatta da Open Arms, da Erasmo Palazzotto di LEU e dalla giornalista di Internazionale Annalisa Camilli sia falsa. Preferisce invece demandare il racconto della verità ad una giornalista tedesca. Perché? Perché la giornalista tedesca dell’emittente N-tv, Nadja Kriewald nella notte tra il 16 e il 17 luglio era a bordo della motovedetta libica “Ras Sdjeir” che ha tratto in salvo 158 persone.
L’annuncio del salvataggio era stato dato proprio dalla Guardia Costiera libica, tant’è che inizialmente anche Oscar Camps – presidente di Open Arms – riteneva che i resti del gommone, i cadaveri e Josefa fosse quello che rimaneva in mare dopo quell’operazione di soccorso. Molti si sono attaccati a quel primo tweet per spiegare che la Ong spagnola aveva mentito. Come prevedibile poi altri utenti hanno iniziato a commentare sulle “strane coincidenze”; Open Arms tornava nel Mediterraneo con le sue due barche e subito si imbatteva nel cadavere di un bambino. I sovranisti dell’Internet, quelli bravi ad usare siti come Marine Traffic hanno mostrato come il luogo del ritrovamento di Josefa fosse incompatibile con l’operazione di salvataggio effettuata dai guardacoste libici. La conclusione era ovvia: la Ong stava mentendo, i libici (e il governo italiano) erano stati incolpati ingiustamente.
I dati che dimostrano che il salvataggio della Open Arms non è una bufala
Ma Open Arms (e Internazionale) hanno raccontato anche altri dettagli. Ad esempio di aver ascoltato per molte ore del 16 luglio una conversazione radio tra un mercantile diretto a Misurata, il Triades. Si tratta di una nave cargo da quasi 30mila tonnellate lunga 170 metri. Questo è quello che ha scritto la giornalista di Internazionale, che era a bordo e quindi è anche una testimone diretta dell’accaduto: «Il mercantile Triades diceva di essere stato allertato dalla guardia costiera italiana e chiamava la guardia costiera libica per intervenire in soccorso dei gommoni. Le imbarcazioni con i migranti a bordo sembravano partite da Khoms, una città a est di Tripoli».
Dopo parecchie ore la guardia costiera libica ha detto all’imbarcazione di proseguire la rotta verso Misurata perché sarebbe presto intervenuta una motovedetta. Come si vede dal tracciato di Marine Traffic il Triades ad un certo punto compie una diversione dalla rotta, sono le ore 15:18 (UTC) del 16 luglio.
L’imbarcazione rimane nell’area (indicativamente intorno ai 34°11″ N) per diverse ore. Solo alle ore 20 (UTC) il Triades riprende la rotta verso il porto di Misurata. Per la cronaca il limite settentrionale dell’area SAR libica è posto alle coordinate 34° 20″ N.
Confrontando il tracciato del Triades con la rotta delle due navi di Pro Activa Open Arms (il veliero Astral, che si vede sullo sfondo nella foto postata da Camps, e la Open Arms) si vede in maniera chiara come le due imbarcazioni si siano dirette nel punto in cui il mercantile panamense ha compiuto quella improvvisa e lunga deviazione dalla sua rotta. Le due navi non avevano “il trasponder spento” come spesso si sente dire da chi accusa le Ong.
A confermare che sono proprio quelle le coordinate del recupero di Josefa e del ritrovamento dei due corpi senza vita dei migranti il tweet del parlamentare di LEU Erasmo Palazzotto, anche lui a bordo della Open Arms; come il cestista NBA Marc Gasol che ha direttamente partecipato all’operazione di salvataggio di Josefa. A Repubblica Gasol ha raccontato che l’equipaggio dall’ascolto della conversazione radio ha «appreso che la motovedetta libica ha riportato i naufraghi indietro dopo aver distrutto la barca su cui erano rimasti per due notti».
Secondo Matteo Salvini – che, lo ricordiamo, non ha ancora fornito le prove – quella della Ong «è meschina propaganda di qualcuno che ha un altro genere di interessi». Quali? Secondo il ministro dell’Interno Palazzotto invece «è attendibilissimo il parlamentare di Liberi e uguali. È al di sopra di ogni sospetto. A me risulta che la Guardia costiera libica lavori per salvare vite e non fare affogare nessuno».
Perché la televisione tedesca non può smentire Open Arms
Al ministro però risulta male. Perché anche dal racconto della giornalista tedesca Nadja Kriewald emerge come anche durante l’operazione di salvataggio cui ha preso parte alcuni bambini non siano stati salvati in tempo e quindi siano morti. Non è una novità, era già successo qualche settimana fa: morirono tre bambini e ci fu chi disse che in realtà erano bambolotti. Ma la cosa più interessante della testimonianza della Kriewald è che smentisce Salvini.
La giornalista tedesca infatti è stata testimone di un’altra operazione di salvataggio. E lo dice lei stessa quando racconta che il capitano della motovedetta le ha riferito «che un paio d’ore prima, nella stessa area, c’era stata un’altra missione da parte di un’altra imbarcazione della guardia costiera libica». Missione di salvataggio compiuta in un’altra zona, distante da quella dove si trovava l’imbarcazione sulla quale si trovava la Kriewald. Che quindi non può smentire – anzi si rifiuta di commentare – l’episodio raccontato da Open Arms. A questo punto i fatti si complicano ulteriormente e si parla di due operazioni di salvataggio distinte: una davanti a Khoms e una al largo di Tripoli.
Ed è curioso notare che mentre la Guardia Costiera libica ha dato notizia del salvataggio di 160 persone nulla abbia detto rispetto la seconda operazione. Perché? Eppure riuscire a compiere con successo due salvataggi notturni sarebbe stata sicuramente una dimostrazione delle capacità e della competenza dei guardiacoste libici. Palazzotto denuncia senza mezzi termini un tentativo di depistaggio da parte dei libici. Ma ovviamente si tratta di un’ipotesi. Quello che sappiamo è che un mercantile ha ricevuto dalla Guardia Costiera italiana le istruzioni di contattare quella libica. Successivamente i libici invece che dare il via libera al salvataggio ad una nave che si trovava sul posto e che era diretta in Libia (e che sarebbe stata obbligata a farlo in base alla convenzione UNCLOS) hanno annunciato che sarebbero intervenuti loro. Quello che è successo dopo – tra l’intervento libico e quello di Open Arms – lo sanno solo i libici, che però tacciono. Forse se la guardia costiera fosse intervenuta prima quelle persone si sarebbero potute salvare. Forse se ci fossero ancora le Ong in zona quel bambino sarebbe ancora vivo. Il premier Giuseppe Conte oggi sul Fatto dice di non avere informazioni risolutive su quella vicenda. Quindi di fatto smentisce il suo ministro che sostiene di avere le prove. Conte però dice che è inaccettabile che si incolpi il governo italiano. Ma chi è che ha chiuso i porti alle Ong? Chi è che ha fatto pressioni affinché la Libia, che non è nemmeno uno stato unitario, prendesse il controllo di un’area SAR? Cosa fanno i marinai italiani a Tripoli, a bordo dell’unità navale che fornisce supporto alla JRCC libica? Qualche tempo fa il Gip di Catania, nel confermare il sequestro di Open Arms (poi l’inchiesta venne archiviata) ha scritto che – riferisce Internazionale – il coordinamento della guardia costiera libica era di fatto allestito all’interno della nave militare italiana Capri ormeggiata nel porto di Tripoli, in Libia, nell’ambito della missione Nauras.
EDIT del 20/07/2018 per venire incontro alle ridotte capacità mentali di alcuni lettori
C’è chi avendo evidenti difficoltà a comprendere un testo scritto (con un buon numero di illustrazioni ma evidentemente insufficienti) si attacca ad alcuni particolari per accusare l’autore dell’articolo di scrivere balle e di essere un complottaro. Ad esempio una “balla” sarebbe l’aver indicato il nome sbagliato della motovedetta. Faccio notare che la traslitterazione dall’arabo è stata fatta da n-tv.de (l’emittente della giornalista che era a bordo della motovedetta). Chi non ci crede può consultare il link (già presente nell’articolo). Quindi anche la famosa reporter teutonica mente? Nell’articolo della tv tedesca si parla di “più di 100 migranti tratti in salvo”. Oscar Camps in un primo momento riferisce che sono stati 158, il numero preciso è stato appreso successivamente e non sposta di una virgola la questione al centro dell’articolo. La cifra di 158 migranti salvati è stata data anche dal ministro Toninelli.
Andiamo avanti, secondo il nostro debunker non è vero che la guardia costiera libica ha nascosto la missione della seconda motovedetta. Secondo il nostro coraggioso fact checker questa “seconda missione” sarebbe quella della motovedetta che ha salvato 158 persone. Missione che sarebbe avvenuta a 16 miglia dalla costa. Non è chiaro da cosa si evinca la distanza. La giornalista tedesca dice che il salvataggio cui ha assistito è avvenuto a circa 70 miglia dalla costa. Il ministro Salvini ha dichiarato che le dichiarazioni di Open Arms e di Palazzotto saranno smentite dal servizio di n-tv.de, quindi è Salvini a ritenere che la Ong sia intervenuta sul luogo dove la motovedetta Ras Sdjeir ha compiuto le operazioni di soccorso.
Però è proprio la cronista a bordo della Ras Sdjeir a raccontare che il comandante le ha riferito che quella notte un’altra motovedetta libica era impegnata in un’altra operazione di salvataggio. Sappiamo quindi che il 16 luglio ci sono stati (almeno) due interventi in mare. Però solo di uno sono state diffuse immagini, notizie e numero dei migranti salvati.
Non c’è bisogno di inventare un terzo salvataggio. Sappiamo da fonti certe (il comandante di un’unità della guardia costiera libica) che nella notte tra il 16 e il 17 luglio sono stati effettuati due salvataggi a un’ottantina di miglia dalla costa libica. Non è compito mio dire dove hanno messo l’altro centinaio salvato. Solo oggi infatti sulla Stampa il colonnello Tofag Scare, della Guardia Costiera di Misurata ha ricostruito cosa è successo. Scare ha raccontato che «La motovedetta Ras al Jade è andata a soccorrere 165 persone in condizioni penose, affamate,bruciate dal sole, c’era
un cattivo odore spaventoso. Dopo averci chiamato, il mercantile Triades è rimasto lì ad attenderci, ma nel frattempo non ha neppure dato da mangiare e da bere a quella gente, ha detto che non era il suo lavoro e che non poteva fare nulla». Quindi il nome della motovedetta è Ras al Jade. Il colonnello conferma che è stato il mercantile Triades a chiamare la guardia costiera.
Arriviamo quindi al presunto autogol di neXtQuotidiano, di Palazzotto, di Open Arms e di Internazionale (questi ultimi tre testimoni diretti dell’accaduto). Secondo il nostro esperto non è vero che il salvataggio è avvenuto in acque SAR libiche perché se il gommone era allo sbando può benissimo essere avvenuto in acque SAR maltesi. È vero, è possibile. Ma il nostro anonimo factchecker non tiene conto di alcuni elementi. Il primo: la conversazione radio tra il mercantile Triades e la guardia costiera libica. Nella conversazione il mercantile ha detto di aver ricevuto indicazioni dal IRMCC di Roma di rivolgersi alle autorità libiche. Il secondo: la posizione del mercantile Triades e la rotta (evidenziata dalle cartine) che mostrano come al momento della segnalazione il gommone si trovasse in acque SAR libiche. Il terzo: il ritrovamento dei cadaveri e della sopravvissuta è avvenuto poche ore dopo la partenza del Triades. Infine ci sono le coordinate fornite alla Stampa dal colonnello Scare con la posizione dell’intervento fatto. La Stampa scrive le coordinate fornite dai libici: «34.74147°/ 13.84367° che, grossomodo, coincide con quella indicata dalla Open Arms». Ci sono poi alcune contraddizioni e punti poco chiari, come la dichiarazione di un anonimo esponente della guardia costiera libica che afferma che «Certe volte con le motovedette ci spingiamo fin dentro le acque internazionali, dove sarebbe illegale». Illegale perché? Le “acque SAR” sono per definizione in acque internazionali.
Infine secondo il nostro “le Ong di solito operano vicino alla costa libica” non ad 80 miglia dove hanno trovato il gommone. Il problema in questo caso è che appunto le due imbarcazioni non stavano ancora “operando” ma, come scrive subito dopo contraddicendosi, erano in fase di avvicinamento. Che il salvataggio spettasse ai libici lo confermano le comunicazioni radio con il Triades, presente proprio in quel punto che ha ricevuto istruzioni di allontanarsi e non soccorrere i migranti perché stava appunto arrivando una motovedetta libica. Motovedetta che, abbiamo appreso successivamente da n-tv.de non era quella sulla quale a bordo c’era la giornalista tedesca.