Opinioni
Su Carlotta Rossignoli non c’è alcuna “invidia”, si chiama equità sociale, questa sconosciuta
Lorenzo Tosa 05/11/2022
Forse ad alcuni non è chiaro, ma la cosa più incredibile del caso di Carlotta Rossignoli NON È Carlotta Rossignoli
Forse ad alcuni non è chiaro, ma la cosa più incredibile del caso di Carlotta Rossignoli NON È Carlotta Rossignoli. Che sarà senza dubbio una ottima studentessa e meritevole di ogni futuro successo, che francamente le auguro.
È il modo in cui la stampa l’ha raccontata, propagandando l’immagine favolosa di una ragazza di 23 anni che fa la modella, l’influencer, lavora in tv e trova pure il tempo di laurearsi con un anno di anticipo, come se tutti gli altri comuni mortali (magari tra sacrifici economici enormi e lavorando la sera per pagarsi gli studi) fossero tutti fannulloni e fancazzisti.
È la retorica tossica, pericolosa e palesemente antiscientifica del “sonno come tempo perso”, venduta come segreto del successo, per di più da una che nella vita vorrebbe fare (e farà) la cardiologa.
Non è il Daytona al polso (beata lei), è quello che puoi fare oggi in Italia se puoi permetterti un orologio da 20.000 euro, tra cui – denunciano i compagni di corso – anche eccezioni a ogni regola rigidissima dell’università che “con lei diventa risolvibile e flessibile”.
È l’insopportabile vizio tutto italiano di non saper distinguere il merito dal privilegio, la concezione malata della meritocrazia come una spinta a chi già ce la fa benissimo da solo, invece di dare a ognuno le stesse possibilità.
Non è colpa di Carlotta Rossignoli se si è laureata in Medicina a 23 anni, buon per lei. E ha tutto il diritto anche di promuovere la sua immagine come meglio crede.
La colpa è di chi quella narrazione la eleva a esempio (irraggiungibile), a emblema del merito (invece che di privilegio), a modello di vita (tossico), dando l’ennesimo schiaffo gratuito ai milioni di ragazze e ragazzi che hanno lo stesso talento, la stessa dedizione, la stessa identica determinazione, ma una laurea in anticipo non la vedranno mai, né i titoloni sui giornali.
Non è “invidia”, come la chiama lei, si chiama equità sociale, questa parola tanto bella quanto sconosciuta. Non ci vuole una laurea per capirlo.